Il 29 novembre, presso l’auditorium del Palazzo di Giustizia, c’è stato un incontro ad alto livello per l’inaugurazione del Parco della Giustizia. Confesso, ero diffidente e con un animo quasi di sfida e contestazione: i soliti progetti creati non con noi cittadini. Ma poi mi sono innamorata. Innamorata dell’ammirevole tenacia del presidente della Pescas, l’associazione da cui il progetto è stato ideato e realizzato. Innamorata della stupenda disponibilità ed apertura culturale della Fondazione CRF. Innamorata delle idee chiare dell’assessore Andrea Giorgio. Innamorata dell’idea grandiosa accolta immediatamente dal presidente della Corte d’ Appello: il palazzo di giustizia il più delle volte visto come “corpo estraneo”, diventa una realtà pienamente compenetrata nel tessuto sociale. Ed il parco è il luogo e lo strumento dove ciò può avvenire. Quasi una nuova agorà, sogna il presidente Balli, e noi con lui, soprattutto quando vediamo giorno per giorno che il nostro più grande parco urbano corre il rischio di diventare un ’non luogo’, dove si vive il rischio del conflitto tra generazioni e tra culture diverse. Intanto, è stato già concretizzata la piantumazione di 18 alberi ad alto fusto, e la dedica ad altrettante persone la cui vita è esempio fulgido di amore per l’umanità. Insomma, il parco diventerà, come ha detto la presidente della Camera Civile, il luogo dove istituzioni e cittadinanza possano incontrarsi con eventi ed attività per la promozione della cultura della legalità. Ecco, ciò che mi è piaciuto di più è l’ appello accorato da parte di tutti alla comunità: l’avvio di qualcosa che dovrà vivere grazie alla società civile. Il parco come “cerniera” tra il Palazzo e la comunità. E la comunità c’era! Agli auspici da parte di tutti acché la comunità faccia la propria parte, noi rispondiamo: noi cittadini ci siamo. E vogliamo credere ardentemente che la montagna non partorirà un topolino.

Maria Montagono (docente di lettere)

Fonte: La Nazione